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Il Pacific Trash Vortex è un gigantesco ammasso di spazzatura composto per la maggior parte da rifiuti di plastica galleggiante, localizzato al centro dell’Oceano Pacifico. È compreso tra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord.
Le dimensioni di quest’ isola artificiale, che chiaramente non ha le caratteristiche della continuità territoriale, non sono ben note. Dalle immagini satellitari si stima che la sua superficie sia approssimativamente più grande di quella di Francia, Germania e Spagna messe insieme.
Chiamato anche «Great Pacific Garbage Patch» rappresenta oggi una delle più grandi catastrofi ambientali mai esistite. Le cifre fornite dai vari organismi scientifici, istituti di ricerca ed enti governativi, orientate a quantificare il fenomeno, sono abbastanza discordanti. Alcuni di questi enti parlano di 8 milioni di tonnellate di plastica inquinante; altri di 150 milioni; altri ancora hanno calcolato secondo i parametri dell’immediata osservabilità, più di 5.250 miliardi di oggetti inquinanti, di piccole e medie dimensioni.
In ogni caso qualsiasi sia il numero di tonnellate l’impatto sull’ecosistema marino è di proporzioni spaventose!
Da Wikipedia:
«L’accumulo si è formato a partire dagli anni 80 a causa dell’azione della corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord Pacifico (North Pacific Subtropical Gyre), dotata di un particolare movimento a spirale in senso orario; il centro di tale vortice è una regione relativamente stazionaria dell’Oceano Pacifico che permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro formando un’enorme “nube” di spazzatura presente nei primi strati della superficie oceanica» […] In oltre 35 anni, tutto il materiale disperso in mare compattandosi ha creato una chiazza di pattume a tratti densa e a tratti disgregata; questa, a sua volta, genera un’infinita galassia di micro-detriti in grado di sopprimere la vita di molte piante e animali.
L’isola di Henderson che fa parte dell’arcipelago delle Pitcairn, situato ad una distanza remota sia dall’Australasia che dalla terraferma sudamericana, è tristemente famosa per il gran numero di rifiuti presenti sulle sue spiagge: quello che desta meraviglia più di ogni altra cosa è il fatto che in essa non è presente alcuna attività umana in quanto si tratta di un’isola disabitata, il che rende tutto lo scenario ancor più tragico.
Le reti da pesca abbandonate e tutti gli altri galleggianti sono responsabili ogni anno della morte di molti mammiferi marini. Non è difficile trovare delfini, foche o altri cetacei tristemente aggrovigliati nelle mortali maglie degli attrezzi ittici. Di recente una notizia ha destato sentimenti di indignazione in molti asiatici.
A giugno a largo delle coste della Thailandia, un gruppo di biologi marini nel disperato tentativo di salvare una piccola balena pilota – impresa rivelatasi purtroppo infruttuosa – ha fatto una scoperta sconcertante: il povero globicefalo aveva nello stomaco 80 buste di plastica!
Boyan Slat, un ventiduenne studioso di Delft (Paesi Bassi), votato alla causa ecologista, ha ideato nel 2013 un rivoluzionario metodo di pulizia dei mari. Si chiama Ocean Cleanup ed è un progetto sperimentale partito da pochi mesi nelle acque del Mare del Nord. Prevede l’abbassamento in acqua di una barriera chilometrica semirigida, a forma di imbuto, o di “V”, lasciata alla deriva. Questa convoglierebbe al suo interno tutti i rifiuti plastici in unico punto per essere successivamente filtrati ed aspirati da apposite navi o da altri mezzi galleggianti. È un sistema di pulizia passivo in cui il mare si pulirebbe da sé.
Slat per raggiungere il suo obiettivo ha creato un fondazione che nel 2014 attraverso numerose donazioni ha raccolto più di due milioni di dollari, riuscendo a coinvolgere diversi finanziatori e filantropi, speranzosi di vedere pienamente operativa la sua geniale idea. In soli 10 anni, se il metodo risulterà davvero efficace, la mastodontica Isola di Plastica del Pacifico verrebbe ridotta di circa la metà. La plastica, espressione e idea stessa della modernità, ha letteralmente rivoluzionato la nostra esistenza, ma allo stesso tempo la sta sconvolgendo indirizzando l’intero ecosistema verso una silente catastrofe ecologica di dimensioni planetarie. Quest’era definita dagli antropologi «antropocene», nella quale il clima è determinato dall’azione distruttiva dell’uomo, potrebbe essere l’epoca della irreversibilità ambientale, in cui i mari invasi da cumuli di rifiuti fluttuanti, diventerebbero i cimiteri per milioni di forme di vita acquatiche.
La barriera di Slat potrebbe risultare la formula ecologica vincente per impedire una volta e per tutte che «i delfini giochino con le buste per la spesa!»