«Qui nel 1503 si pugnò la disfida dei 13 su terreno neutrale di veneto dominio»
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Il 13 febbraio del 1503 vicino Trani, in Puglia, nella piana di Corato, in quel che era allora nominalmente territorio veneziano, avvenne uno scontro tra 13 cavalieri italiani e 13 francesi. Il duello nacque come una sfida tra uomini d’arme. In quel preciso momento storico i francesi stavano cedendo il loro potere agli spagnoli in gran parte del meridione d’Italia. Fu una causa d’onore tra nobiluomini intercorsa per «dare soddisfazione» ad un gruppo di cavalieri italiani offesi dai francesi. In quegli anni vennero inaugurate le cosiddette «guerre d’Italia», definite «horrende» dal Machiavelli, e che iniziarono con la discesa in Italia di Carlo VIII di Valois, Re di Francia. La Spagna da queste contese ne uscì vittoriosa tanto da estendere la propria supremazia su gran parte della penisola italiana. Con la Disfida di Barletta tramonta l’epoca della cavalleria aristocratica medievale, impregnata di un sacro codice etico; in esso vi rientravano i cosiddetti beaux gestes (bei gesti) tipici dell’antico ordo militum che rappresentavano tutti quei comportamenti doverosi e necessari che rendevano nobile e cortese l’azione della spada dei gentiluomini. Era un antico codice cavalleresco basato sugli alti concetti del rispetto umano, della lealtà e della misericordia (e persino della sportività). Tutto ciò non andava mai a detrimento dell’ardore e del valore dei guerrieri. Da lì a poco l’uso delle nuove armi da sparo avrebbe cambiato il concetto stesso di guerra, rendendola sempre più crudele e meno «nobile» (per quanto tale aggettivo possa essere appropriato a tale nozione!); il contatto col nemico sarebbe diventato sempre più rarefatto, ed essa sarebbe diventata più orrida di quel che è.
Durante la liberazione di Barletta (1502-1503) gli spagnoli catturarono numerosi militari francesi, tra cui il cavaliere Charles Monsieur de La Motte. La Motte ebbe modo in diverse occasioni di elogiare il valore degli Spagnoli pari a quello dei Francesi, ma espresse offensivo giudizio sugli Italiani, dicendoli “sempre da noi vinti e soverchiati”. (cit. da Angelo Scotto). I cavalieri italiani colpiti nel loro orgoglio sfidarono a duello gli avversari riportando una storica vittoria; il duello capitanato dall’intrepido Ettore Fieramosca ebbe una notorietà parecchio rilevante; i risorgimentali che si batterono per l’unità italiana si sarebbero ispirati proprio a lui. In realtà i soldati di ventura combattevano per se stessi, e non contribuirono minimamente alla costruzione di quello stato nazione voluto dai grandi lirici risorgimentali e sviluppatosi idealmente nel corso dell’ottocento. Tra i tredici di Barletta ci fu anche Francesco Salamone, un cavaliere siciliano di Sutera (CL).
Salamone (o Salomone) nacque a Sutera nel 1478, da Riccardo e Claudia Del Pozzo. Fu di nobile famiglia originaria di Venezia (secondo taluni era originaria di Genova) che si diramò a Palermo, a Licata ed anche nella stessa Sutera. Ebbe una vita molto tumultuosa, basti pensare che già a 16 anni ferì un esponente della famiglia Borghese con cui era inimicato per via della di lui famiglia. Per scampare alla ritorsione, fuggì dapprima a Napoli e poi in Puglia, arruolandosi nelle milizie del principe Prospero Colonna. Da quel momento iniziò a combattere per gli spagnoli. In occasione della famosa disfida, pare che Francesco avesse fatto un voto alla Madonna del Soccorso: in caso di vittoria avrebbe fatto scolpire una statua della Vergine e l’avrebbe donata alla Chiesa del Carmine di Sutera. Così fece. Passò agli ordini di Juan de Guevara e dopo aver acquisito parecchie ricchezze, si stabilì per un po’ tempo nel suo paese, dove venne accolto dai suoi concittadini con grandi onori. In seguito tornò a combattere per gli spagnoli. Nel 1512 partecipò alla Battaglia di Ravenna; fu poi al servizio del Duca di Milano. Diventò capitano della Lega Santa (in funzione anti-francese) ed espugnò il castello di Soragna.
La sua vita avventurosa lo portò persino ad essere imprigionato nelle carceri vaticane a motivo di alcuni componimenti satirici che furono ritenuti offensivi nei confronti del Papa. Nel 1521 si distinse nella difesa di Parma, città che per i meriti acquisiti in battaglia gli tributò la cittadinanza onoraria concessagli dall’allora governatore Francesco Guicciardini. In tale difesa fu particolarmente ammirato per le sue doti di stratega e di «architetto militare». Qui morì nel 1569. I suoi discendenti diventarono nel 1682 Duchi di Villafiorita. Questa è in estrema sintesi la storia del soldato di ventura Francesco Salamone di Sutera, esempio tipico del condottiero mercenario dell’epoca moderna. Eppure nonostante lottasse per sé e non per la patria italiana, ancora in fase «di costruzione», rimase nei cuori di molti italiani spezzettati in tanti ducati e stati. Fu un eroe gentile e d’animo buono; scanzonato e buontempone fu un uomo forte ed anche saggio. Impugnò le armi non per l’Italia, ma per sé stesso. Di lui dissero: «da siciliano di famiglia veneziana, aiutò parmensi e parmigiani, napoletani e siciliani, ferraresi e milanesi», tutti coalizzati contro gli stranieri. Un soldato mercenario sui generis, valoroso ed intrepido: combatté per gli italiani fuorché per l’Italia!