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La lotta per l’emancipazione femminile, nata dalla spinta propulsiva della Rivoluzione Francese, durante il periodo napoleonico ebbe una vistosa battuta d’arresto. Fu necessaria un’altra rivoluzione affinché riprendesse forza e vigore, e ciò avvenne grazie alla Rivoluzione Industriale. Con l’avvento dell’industrializzazione una massa enorme di donne venne immessa nel mondo del lavoro e le rivendicazioni dei diritti femminili diventarono ben presto uno dei cavalli di battaglia del movimento operaio. In gran parte del vecchio continente nacquero i primi nuclei proletari femminili che reclamavano parità di diritti, trattamento, istruzione e accesso alle professioni. I primi comitati liberi che cominciarono ad occuparsi unicamente di questioni femminili sorsero proprio in Francia, tra questi vanno ricordati il «Club delle Donne», fondato da Eugenia Niboyet, e «il Club dell’emancipazione femminile» di Jeanne Deroin, entrambe attiviste e giornaliste. C’è da dire però che i risultati maggiori e più significativi si ottennero proprio nella patria dell’industrializzazione cioè in Gran Bretagna. Nel Regno Unito la lotta diventò un fatto ancora più «moderno». Alle rivendicazioni dei ceti operai femminili si unirono quelle dell’alta borghesia britannica, affarista e benestante, e ciò trasformò ideologicamente l’idea stessa che stava alla base del «paritarismo»: questo non era più soltanto un fatto proletario, ma universale in quanto riguardava sia le aspirazioni delle donne dei livelli sociali più bassi, che le aspirazioni delle donne dei ceti più alti e benestanti (anche se non aristocratiche).
Il movimento di emancipazione femminile puntava al raggiungimento di una meta fondamentale sulla quale poi si sarebbero basate con maggiore facilità altre rivendicazioni: il voto alle donne.
Erano nate le suffragette* che agirono tra la fine dell’800 e gli inizi del nuovo secolo (*denominazione, talora polemica, delle femministe britanniche in lotta per l’estensione alle donne del diritto di voto) [fonte Treccani].
Il suffragio che si estrinseca nella facoltà di esercitare il diritto di elettorato attivo e passivo [ossia di poter votare e di potersi far eleggere]può essere di diversi tipi. Il s. universale è quello che consente a tutti i cittadini e le cittadine maggiorenni di far valere il proprio diritto senza restrizioni di ordine economico, culturale, religioso o altro. Quello ristretto può essere condizionato da motivi ostativi che ne impediscono la temporanea attuazione per fattori legati esclusivamente all’età.
«Frattanto la causa femminista aveva conquistato numerosi uomini, e nel 1866 il filosofo ed economista John Stuart Mill fu il primo deputato a presentare al Parlamento britannico una petizione firmata da 1500 donne che chiedevano di avere il diritto di voto»
[Alberto Caocci, La Storia Volume 3, Ape Mursia]
Negli Stati Uniti il suffragio censitario maschile, riservato a soli uomini ed appartenenti a determinati livelli sociali, venne introdotto nel 1776. Dalla seconda metà dell’800 fu ampliato in altri stati federati anche alle donne con un certo tasso di scolarizzazione. Nel Regno Unito del primo novecento si assiste al totale raggiungimento della perfetta parità elettorale: nell’arco di un decennio, dal 1918 al 1928, si passa da un suffragio limitato esteso alle sole donne con età superiore a 30 anni, a quello senza limitazioni di sorta.
In Italia il suffragio universale venne concesso nel gennaio del 1945 con un decreto legislativo luogotenenziale a firma di Ivanoe Bonomi. Nel 1919 Papa Benedetto XV si disse pubblicamente favorevole a concedere il diritto di voto alle donne.