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Il 6 dicembre la Chiesa, sia quella romana che l’ortodossa (insieme a tutte le altre chiese non in comunione con Roma) festeggia la memoria di San Nicola. Le sue reliquie sono conservate ancor’oggi nella cattedrale di Bari, e nel calendario romano viene per l’appunto ricordato come San Nicola di Bari. È venerato in tutto l’universo cristiano (cattolico, ortodosso, orientale antico). Etimologicamente il suo nome vuol dire “vincitore del popolo o vittorioso presso il popolo” (composto da nikè «vittoria» e da laos “popolo”). È stato un vescovo greco del IV secolo d.C., vissuto tra il 270 e il 330 d.C., della Licia Anatolica, nell’odierna Turchia. Nacque probabilmente a Patara (oggi Gelemiş) nella regione di Antalya, e dopo l’ordinazione sacerdotale si trasferì nella vicina Myra (oggi Demre). Partecipò alle dispute cristologiche condannando apertamente le dottrine eretiche che in quel periodo imperversavano in seno a tutta la chiesa universale del terzo e quarto secolo dopo Cristo. Una di queste era l’arianeismo – che negava la Trinità di DIO. Si dice che durante un sinodo conciliare abbia preso a schiaffi il sostenitore di queste teorie non ortodosse: il berbero Ario. Ario, principale esponente di tali correnti eretiche, fu un teologo della Libia. Egli non negava la natura divina del Cristo, ma subordinava la sua regalità a quella del Padre in quanto «generato e non co-eterno come il Primo»; di fatto negava la cosiddetta «consustanzialità» (homousìa) di Dio.
La tradizione vuole che nel 1087 alcuni marinai baresi, recatisi a Myra e spinti dall’ormai secolare fama del grande potere taumaturgico del Santo, abbiano trafugato le sue spoglie per portarle a Bari; qui arrivarono l’otto maggio di quello stesso anno. Nel 1089 venne costruita una cattedrale a Lui dedicata, consacrata da Papa Urbano II de Châtillon. Dieci anni dopo, un manipolo di marinai veneziani, spintisi nuovamente a Myra per cercare ciò che rimaneva delle reliquie sottratte furtivamente dai loro colleghi italici, trovarono nel sepolcro quasi vuoto una piccola parte dei suoi resti ossei lasciati dalla concitazione con la quale i primi si erano apprestati a trafugarne le spoglie. Oggi quelle veneziane si trovano nella chiesa di San Nicolò al Lido.
Da indagini scientifiche effettuate sui due gruppi ossei, quello pugliese e quello della Serenissima, è stato accertato che entrambe le reliquie appartengono allo stesso individuo. La fama di Nicola di Myra, per effetto dell’evangelizzazione degli slavi – ad opera dei santi Cirillo e Metodio – col tempo ha varcato i confini dell’Impero Romano d’Oriente, detto anche Impero Bizantino, arrivando sino agli estremi confini dell’allora Asia Anteriore cristiana. Di fatto il cristianesimo bizantino-slavo, essenza stessa del cristianesimo-ortodosso, è riuscito ad esportare la fede della Seconda Roma, ossia Costantinopoli, nelle lontane terre nordiche e boreali abitate dagli slavi e dai vichinghi della Rus’ di Kiev.
Una leggenda narra che un nobile del suo tempo, caduto improvvisamente in disgrazia e nella miseria più assoluta, decise di far prostituire le sue tre giovani figlie per aver un minimo di ristoro economico. Il santo mosso a loro compassione, lanciò attraverso la finestra della loro abitazione tre palle d’oro impedendo così che venissero avviate al meretricio. La sua figura di protettore dei fanciulli e degli scolari, e dunque di portatore di doni, col tempo si è diffusa tra i popoli anglosassoni e scandinavi (questi ultimi di stampo fortemente protestante); ma essa è stata recepita direttamente dalla tradizione delle genti alpine. Nelle vallate delle Alpi elvetiche, trentine, dolomitiche, friulane, austriache e giulie, il Santo barese-veneziano è raffigurato ancora col pastorale e col copricapo vescovile (detto mitra) di colore rosso o bordeaux, che ne rimarca la figura sacerdotale. È ritratto spesso nell’atto di scacciare i diavoli distruttori dell’innocenza dei pargoli, i cosiddetti krampus, figure mitologiche a metà tra la stregoneria e le paure ancestrali insite in ogni comunità umana.
Mentre nelle regioni centrali europee e in quelle alpestri (che si trovano ancora in pieno contesto cattolico) ha mantenuto la sua caratteristica di venerabile ecclesiastico, tra i popoli nordici ha smarrito questa peculiarità diventando una figura non più religiosa ma laico-leggendaria. Il suo culto si è diffuso negli USA sin dall’800 per il tramite dei coloni olandesi che ne hanno conservato la memoria celebrativa natalizia. Nel 1800 San Nicolaus (trasformato secondo le parlate anglosassoni in Santa Claus o Klaus) perde totalmente la sua connotazione mistica trasformandosi in una figura simbolica legata al periodo dell’ Avvento. Diventa così il Babbo Natale che conosciamo tutti. L’iconografia nordica lo rappresenta nelle vesti di un nonno barbuto e festoso che vaga di notte con il suo carro trainato dalle renne (in grado persino di volare!) per portare i regali ai bambini. Gli è stata data addirittura una dimora, dove riceverebbe le lettere provenienti dai bambini di tutto il mondo, localizzata più o meno nella Lapponia, che è una regione nordica divisa tra Finlandia, Svezia, Norvegia e Russia.
Oggi il nome Nicola possiede diverse varianti: quelle italiche sono Niccola, Nicolò, Niccolò o Niclo; quelle femminili sono Nicla, Nicoletta; le straniere di gran lunga più utilizzate sono Nicol, Nicole, Nicolette o più semplicemente Colette. Nei paesi slavi è uno dei nomi, dei patronimici e dei cognomi più diffusi in assoluto.
Questa è la storia di Babbo Natale, il St. Nicholas inglese o il Sinterklaas olandese, diventato l’icona natalizia che beve la Cola gassata assieme ai bimbi. È il santo di Myra, un tempo conteso da baresi e veneziani ed oggi ultra venerato nelle terre slavo-bizantine dell’Europa dell’est. È il protettore dei deboli e dei fanciulli; è quello che ha difeso la fede in un momento di particolare confusione teologica: è quello che schiaffeggiò il teologo Ario, impudente, eretico e pericoloso.